Il 13 marzo scorso Papa Francesco annuncia il Giubileo della Misericordia e a meno di 48 ore di distanza, a cinquemila chilometri di distanza dalle stanze del Vaticano, in Pakistan venivano bruciate due chiese e uccisi 15 Cristiani e feriti altri ottanta per mano dei Talebani. In Italia proliferano le costruzioni delle moschee, in Sicilia si porta avanti il “dialogo” fra le religioni, gli jihadisti puntano minacciosi sulla Santa Sede, simbolo della Cristianità, in Libia il vescovo di Tripoli, Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, è nel mirino delle milizie del Califfato. E Papa Francesco pronuncia parole forti: “Chiedo dal Signore, imploro dal Signore, il dono della pace e la concordia per quel Paese, e che questa persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere finisca, e ci sia la pace”. Ecco parole che non possono essere ignorate: ”questa persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere”. Il mondo sta ignorando queste continue stragi perché le sconosce o perché resta indifferente alle morti di innocenti che stanno costellando questi tempi?
E’ vero, in Pakistan hanno condannato gli attentati, il premier pachistano Nawaz Sharif, li ha definiti “non un attacco alla comunità cristiana ma allo stesso Stato pachistano”, mentre il ministro della Difesa, Khawaja Muhammad Asif, ha parlato di “un’aggressione contro l’umanità”. Più precisa la condanna da parte di Nazir S. Bhatti, presidente del Congresso cristiano pachistano (Pcc) il quale ha affermato che il governo del Punjab “non ha adottato sufficienti misure di protezione per le chiese“. Le condanne verbali, però, non cambiano lo stato delle cose e pochi hanno dimenticato ciò che avvenne due anni addietro, nel 2013, quando una duplice esplosione in una storica chiesa di Peshawar causò la morte di 82 persone.
Per opporsi a questa offensiva (vera persecuzione) basta il coraggio, come quello che dimostra il vescovo di Tripoli? Monsignor Martinelli di fronte al pericolo afferma serenamente “So bene di essere un obbiettivo, ma cosa posso farci? Posso solo affidarmi al Padre Eterno. Se ha voluto far crescere me e questa chiesa in mezzo al mondo musulmano allora farà di tutto per difenderci. Questa è la consolazione che mi arriva dalla fede…”. Coraggio e fede riusciranno ad abbattere la barriera dell’indifferenza? L’annuncio dell’Anno Santo della Misericordia, che si aprirà con l’Immacolata Concezione l’8 dicembre 2015 e si chiuderà il 20 novembre 2016 con la solennità di Cristo Re, accrescerà la tensione o sarà – come auspicato – uno strumento utile a un dialogo che possa condurre alla pace?
Matteo Sacchi scriveva sul quotidiano Il Giornale nel settembre dello scorso anno: “Dispersi. Eternamente martiri. Di certo dotati di una fede enorme passata attraverso secolari tribolazioni che l’hanno forgiata nel sangue: Sono i cristiani d’Oriente, gente che adora la Croce all’ombra della Mezzaluna. Di loro si parla soltanto se il massacro raggiunge una contabilità esorbitante. Come quando nel dicembre 2010 un attentato alla chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto causò più di venti morti. Intervennero, a parole, in molti, a partire da Sarkozy – «Non possiamo accettare quello che appare sempre di più come un piano particolarmente perverso di epurazione religiosa in Medio oriente» – ma, nei fatti, la strage è silenziosamente continuata, in un crescendo, sino a oggi. Basta fare l’esempio della Siria, dove la mattanza si è fatta tremenda. Secondo il World Christian Database dell’Università di Oxford i Cristiani erano il 15% della popolazione. Potrebbero essere ridotti all’1,32% entro il 2050. E negli altri Paesi dell’area la tendenza è la stessa, se non peggiore”.
L’Anno Santo della Misericordia cambierà qualcosa?